Skip to content Skip to footer

Quando il perdono coniuga giustizia e lavoro

A cura di Maddalena Maltese e Marco Miggiano

La trasmissione di Rai2, “Sulla via di Damasco” ha trasmesso storie e progetti germogliati da un fatto sanguinoso che ha preferito, alla vendetta, la scelta decisa della speranza

Maggio comincia con una festa dedicata al lavoro, alla sua dignità, al rispetto dei diritti e dei doveri di chi quel lavoro lo svolge, lo offre, lo crea o lo perde. Al lavoro e alla crescita economica sostenibile anche l’Onu ha dedicato uno degli obiettivi dell’Agenda dello sviluppo sostenibile. L’obiettivo 8 su lavoro dignitoso e crescita economica punta a migliorare la condizione di milioni di persone e garantire un uso efficiente e sostenibile delle risorse del pianeta. Maggio è anche un mese dove la giustizia è stata ferita. La strage di Capaci, avvenuta il 23 maggio del 1992, ci ricorda da 30 anni che per ottenere società pacifiche e inclusive, dove sia lo Stato di diritto a governare, serve esercitare la giustizia, garantirne il pari accesso e combatterne tutte le forme di criminalità e di violenza che frenano lo sviluppo. Così recita anche un altro obiettivo dell’Agenda Onu, il numero 16. La trasmissione di Rai2 “Sulla via di Damasco”, andata in onda proprio il primo maggio ha voluto coniugare lavoro e giustizia, raccontando degli alberi robusti di bene cresciuti sull’humus di una tragedia: l’assassinio, ad opera della camorra, dell’imprenditore Mario Diana che in terra casertana aveva provato a creare occupazione e sviluppo; inimicandosi chi aveva assegnato alla violenza lo scettro di governo. Ci sono le storie degli operai salvati dalla strada o valorizzati nei propri talenti dai figli di Mario; c’è la squadra di calcio antirazzista RFC Lions, che usa del pallone per restituire dignità e autostima agli immigrati di questa comunità e infine c’è l’intervista ad Antonietta Diana, la vedova dell’imprenditore, che in esclusiva e per la prima volta racconta la radice di questi progetti: il perdono. Eva Crosetta, conduttrice di “Sulla via di Damasco”, ci ha concesso la possibilità di raccontare quest’intervista sulle nostre pagine. 

Eva Crosetta: Signora Antonietta, grazie per essere qui, per essere con noi davanti alle telecamere e per raccontarci di suo marito Mario. Quanti anni aveva quando l’ha conosciuto?

Antonietta Diana: Quando ho conosciuto mio marito, io avevo 14 anni e lui 16 anni. Una domenica pomeriggio sono uscita per una passeggiata e lui mi ha visto, ma in realtà io non sapevo chi fosse. Uno dei miei cugini poi mi disse che quel ragazzo si chiamava Mario e che si voleva fidanzare con me! 

Lui aveva le idee già ben chiare, appena l’ha vista è stato un colpo di fulmine quindi.

Sì sì, ma io gli ho detto che ero piccola! Poi siamo cresciuti e lui è andato a fare il militare. Mi scriveva le cartoline in cui mi diceva “chi mi ama mi aspetta”! Io ho aspettato e ci siamo sposati. 

Ma che cosa l’ha fatta innamorare di suo marito? 

Mio marito era bello! Simpatico, faceva ridere, Mario era perfetto. 

E come padre? Che padre era? 

È stato un padre bravissimo, un grande lavoratore, avevamo quattro figli. Teresa, Antonio, Nicola e Luisa

Quanto importate è stato il lavoro per suo marito?

Mario lavorava, non si stancava mai. È stato un lavoratore, un buon padre, un buon marito.  

Ma c’è un’altra qualità di suo marito, che ha sempre desiderato, lo sentiva dal profondo, aiutare gli altri. In che modo, che ricordo ha? 

Io mi ricordo che la mattina quando usciva, si fermava in piazza dove c’era un bar, il bar di Oreste. Si fermava a prendere un caffè e le persone gli si avvicinavano, dicendogli “Mario io non ho niente per comprare un po’ di latte ai miei bambini” e Mario cosa aveva in tasca? 20, 30, 10 mila lire? Gliele dava e quindi erano sempre tutti attorno a lui. Anche i figli ora fanno come faceva il padre.

Anche perché spesso era lei che aveva i soldi a casa perché doveva fare la spesa.

Si è vero, spesso tornava indietro e diceva “Antonietta ma tu quanti soldi hai?” e io “5 – 10 mila lire” e rispondeva “e allora dammeli”.

Questi stessi valori suo marito Mario, li ha trasmessi ai figli? 

I miei figli fanno come faceva il loro papà, lavorano e fanno lavorare.

Lei ha parlato prima di un bar, il bar del paese che era una sorta di centro di collocamento perché suo marito aiutava e offriva lavoro molto spesso alle persone che ne avevano bisogno e proprio in quel luogo gli è stata tolta la vita. A che cosa si è aggrappata per cercare di superare una tragedia del genere?

Io sinceramente volevo morire e non lo so perché non sono morta. Però dicevo “Se muoio, i miei figli dove vanno a finire?” Andavo avanti, ma non mangiavo. Volevo morire. Un mio cugino medico mi diceva di reagire “Tu non ce la fai se fai così, hai quattro figli, come fai?”. Mio cugino mi ha aiutato tanto! Cominciai a mangiare un po’ e andai avanti. È stata dura, durissima. Una cosa tremenda.

Anche perché il grandissimo vuoto che ha lasciato suo marito l’ha dovuto colmare lei con la sua presenza in dei giorni importantissimi per i suoi figli. Penso ai matrimoni, alla nascita dei nipoti.

Il Signore mi ha dato tanta forza, ci vuole forza e coraggio. Ho detto ai miei figli che questa è la vita, alziamoci i capelli e andiamo avanti. Ma ci vuole la fede, una fede grande.

Lei ha provato rabbia? Le è venuto da gridare contro il cielo in quel momento, contro la malvagità dell’uomo?

A: No, sinceramente io ho perdonato. Rabbia non ne ho. Se la vedranno con il Signore di quello che hanno fatto a me e mio marito. Sono serena, perché ho il Signore nel cuore. 

La sera prima di dormire parla con suo marito?

Si, ho le sue foto ovunque e quando voglio ci parlo e mi ascolta anche e io così vado avanti.

Perché nella vostra vita siete sempre stati uno per l’altro

È ancora così, fino a che il Signore mi darà la forza. Chiudo gli occhi e lo porto sempre nel mio cuore.

Per gentile concessione di Rai2: Intervista di Eva Crosetta per il programma “Sulla via di Damasco”.

Leave a comment

0.0/5