Intervista all’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente del Vaticano presso le Nazioni Unite
di Maddalena Maltese da New York
Tanzania, Libano, Filippine e ora Nazioni Unite. Monsignor Gabriele Giordano Caccia, arcivescovo e rappresentante della Santa Sede presso l’Onu ha una lunga storia di servizio alla Chiesa in aree critiche del mondo, dove miserie, disastri naturali e guerre, si sono intrecciati alle sfide della convivenza tra le etnie e le fedi, tra tribù e comunità dove è stata la “diplomazia della prossimità” a saper trovare parole e gesti di pace. Monsignor Caccia l’ha esercitata fino alla fine del suo mandato nel Sud-est asiatico, quando prima di partire alla volta del Palazzo di vetro a New York, ha celebrato la sua ultima messa in un villaggio ricoperto dalla ceneri dell’eruzione del vulcano Taal. Milanese di nascita, cittadino del mondo, Monsignor Caccia è stato incaricato da papa Francesco di rappresentare la Santa Sede all’Onu, diventandone il settimo osservatore permanente. Come Stato osservatore permanente delle Nazioni Unite dal 1964, la Santa Sede ha il diritto di partecipare ai dibattiti nell’assemblea generale, di fare interventi e di replicare. Non ha diritto di voto o di dare inizio a risoluzioni. Monsignor Caccia ha celebrato la messa di benvenuto il 28 gennaio del 2021 nella chiesa della Sacra Famiglia a New York, mentre la città vedeva crescere esponenzialmente i casi di contagio da Covid al punto da decidere per un lockdown di mesi. Il nuovo nunzio all’Onu si è trovato così ad esercitare la diplomazia “nel virtuale”: un passaggio “non semplice”, confessa, anche se adesso è la sua normalità, anche per l’intervista che gli abbiamo proposto.
Ci racconti di un incontro che ha lasciato il segno nella sua vita e nel suo servizio durante questo tempo a New York?
Più che un incontro direi una percezione frutto di tanti incontri con gli Ambasciatori che qui lavorano: ognuno promuove la visione e le priorità del Paese che rappresenta, ma in tutti c’è forte la convinzione che si è qui per qualcosa di più grande e si lavora per il bene di tutta l’umanità. Questo permette anche delle belle relazioni umane, al di là dei diversi punti di vista o posizioni ufficiali, cercando di creare dei ponti, dei punti di contatto e di dialogo, che è in fondo lo specifico dell’azione diplomatica.
Quali sono tre sfide prioritarie a cui l’Onu dovrebbe rispondere in modo più compatto e urgente?
Si potrebbe rispondere seguendo quanto prevede il calendario dei prossimi mesi: la prima sfida in novembre è quella climatica con la Cop26 di Glasgow e sappiamo che l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato Si” ha avuto e ha un grande impatto a riguardo. La seconda sfida è la questione delle armi nucleari che sarà affrontata a gennaio con la Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione nucleare, seguita poi dalla Prima Riunione degli Stati Parte su quello della Proibizione delle Armi nucleari, entrato in vigore nel gennaio di quest’anno, e che la Santa Sede ha sottoscritto e ratificato per prima. La terza sfida è il lavoro “ordinario” di tutta l’Organizzazione sui 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile che andrebbero raggiunti nel 2030 (SDGs).
Viviamo un momento di crisi delle istituzioni internazionali. La Siria, l’Afghanistan, la ricomparsa della fame, le pandemie, le migrazioni: l’Onu sembra impotente di fronte a queste sfide. Quale contributo potrebbe dare la Santa Sede ad una riforma?
La pandemia ha fatto toccare con mano e contemporaneamente in tutto il mondo, sia quello cosiddetto avanzato che quello in via di sviluppo, che problemi globali possono avere solo soluzioni globali e che se non si lavora insieme, spesso si fatica invano. In questo senso una Organizzazione intergovernamentale riesce ad essere efficace nella misura in cui i membri (cioè gli Stati) sono disposti in modo condiviso a impegnarsi per dei fini comuni. Se manca tale volontà multilaterale, ben poco si riesce a raggiungere a livello internazionale. In questo senso l’Enciclica “Fratelli Tutti” aiuta a camminare nella giusta direzione creando le condizioni di fondo che rendono possibile tale spirito di collaborazione.
C’è stato un momento, durante questo tempo all’Onu, che le ha fatto dire: vale la pena spendere energie, tempo, fatica, patire per questo servizio?
Nel vangelo di Luca l’anziano Simeone dice a Maria che Gesù è segno di contraddizione. Lo stesso si ripete nella storia dei suoi discepoli: accanto a sostegno, rispetto, ammirazione, stima, amicizia per quanto la Chiesa annuncia e realizza nel mondo intero, non mancano mai critiche, sospetti, accuse, opposizioni, a secondo dell’argomento di cui si tratta, tuttavia in questo senso si può percepire anche la grande libertà della Santa Sede in quanto non è legata a nessuna coalizione o gruppo, ma si propone come la voce dei valori profondi dell’umanità ed in particolare di quanti non hanno spesso voce e sono tra i più dimenticati o addirittura “scartati”. Vale sempre la pena dedicare tempo, e anche soffrire un po’, per far sentire il grido dei poveri e bisognosi.